lunedì 15 giugno 2009

2666

Anche stavolta mi tocca iniziare con una cosa fisica, non so, un respiro sospeso, una specie di apnea, e un indolenzimento muscolare, dovuto all’acido lattico nelle gambe dopo la lunga corsa.

Ricostruiamo: attratta dal titolo a dir poco stravagante ho comprato il primo tomo senza sapere nulla del contenuto, dell’autore, del contesto né di alcunché. A parte il fatto che, si diceva in terza di copertina, l’opera intera avrebbe previsto un altro volume in uscita a distanza di un anno (mese più mese meno). Altro punto intrigante, mi piace la suspense. Quindi la lettura un po’ labirintica delle prime 433 pagine: non so se mi ricordo un altro libro con così tante digressioni intersecate e altrettanti dettagli apparentemente slegati. Arrivi alla fine con tre macro storie, un centinaio di microstorie e qualche particolare che ricorre: una città in Messico, uno scrittore strano con un nome impossibile, una serie di omicidi impuniti. Poi il libro finisce (quella che tu sai essere la PRIMA PARTE del libro, finisce) e ti tocca aspettare un anno per capirci qualcosa.

Poi arriva l’altro tomo in libreria: ormai è passato un anno e l’interesse si è un po’ affievolito, ma resta un languore non soddisfatto che reclama comunque di essere sopito.

La lettura stavolta è frenetica: le prime 300 pagine sono una serie dettagliata e spietata di omicidi, correlati spesso da violenza carnale. Lo stile è freddo e distaccato, tipo report della polizia o del medico legale. I ritratti sono asettici, impersonali, le descrizioni non sono vere descrizioni ma semplici elenchi di dettagli. Agghiaccianti. Solo ogni tanto c’è uno spiraglio che lascia intravedere spezzoni della vita privata di qualcuno tra i mille protagonisti-comparse della vicenda-vicende. Anche qui lo stile è neutro e le cose che succedono ai tanti piccoli personaggi sembra che succedano per caso, che tutto scorra nel magma irreale e atemporale della storia. Un vero incubo, insomma. E si riesce ad andare avanti trascinati proprio dalla potenza dell’incubo: non per morbosità, lo stile è talmente asciutto che non lascia spazio a pulsioni morbose o simili, ma per forza, perché l’atteggiamento della narrazione lo richiede e lo esige, come una sfida.

L’ultima parte cambia completamente registro: arriva uno sparuto bambino tedesco e tutte le sue irruenti traversie su è giù per il mondo con gente assurda e impossibile, in mezzo a casi fortuiti e inattesi. E qui veramente si conclude il ciclo e si trova il filo del mitico scrittore dal nome improponibile (non anticipo niente, è nel titolo della sezione). Lo stile diventa molto narrativo, quasi epico, le storie sono infinite, le digressioni creano miriadi di piccole storie nelle storie, ma tutto gravita attorno all’unico protagonista, enorme anche fisicamente, con la sua statura colossale.

Le ultime pagine, poi, rivelano una rete, anticipano un finale, lasciano intuire qualcosa ed esplicitano altro, pur continuando a non dare alcuna certezza, pur lasciando tutto in sospeso.

È chiaro che Bolaño andrà conosciuto nell’aldilà e gli andrà data una bella stretta di mano vigorosa, con i complimenti per l’universo e gli universi che ha saputo creare, raccontare, sostenere e allo stesso tempo attaccare e difendere.

Titolo: 2666
Autore: Roberto Bolaño
Edizioni: Adelphi

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